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"Volevo fare l'astronauta": dal 18 al 22 aprile la personale di Francesco Liggieri 

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Basement Project Room | arte contemporanea è finalmente lieta di invitare la cittadinanza all'inaugurazione di "Volevo fare l'astronauta”, esposizione personale di Francesco Liggieri (Alessandria, 1981). Il taglio del nastro domani 18 marzo alle 18:30 al civico 26 di via Tommaso d'Aquino.
La mostra, a cura di Alessandro Di Gregorio, presenta una selezione di lavori degli ultimi anni in cui piccoli uomini desiderosi procedono arditamente nella propria esistenza senza dispersioni e senza voler misurare il proprio tempo. Ogni lavora presenta una traccia di un azzurro ben definito che diviene simbolo del desiderio di ogni bambino che, guardando all'insù, vuole diventare astronauta: non un capriccio ma una vocazione. Il desiderio di Francesco Liggieri è l'alternativa etica al capriccio, è la responsabilità di non sottrarsi a questa chiamata e di liberarsi di ogni retaggio per sfidare e fluttuare nell'assenza di gravità a cui la vita ci sottopone.
Guardare gli occhi di un bambino che vuole fare l'astronauta, ci permette di cedere alla sua vocazione e di intendere che, rinunciando ad ascoltare la chiamata del proprio desiderio, si fa ammalare la propria vita.

Nella cornice di una barba niente pretenziosa e armato di una ironica compostezza,
Francesco Liggieri presenta figure calme e serene, piccoli uomini desiderosi che
procedono arditamente nella propria vita senza dispersioni e senza voler misurare il
proprio tempo.
Accanto al colore c’è il disegno che segna contorni di oggetti e figure: l’appiattimento del
fondo che non presenta soluzione di continuità, costituito dalla mancanza di prospettiva, è
attutito da un senso di relativa profondità dalle figure trattate in termini abbastanza
realistici che diventano consistenti e materiali, contingenti e mutabili nello studio in digitale
e, in definitiva, come permanenti, nella trasformazione compiuta sul supporto pittorico.
Tutto sembra governato dalle leggi dell’affettività: lo spazio ed il tempo, sospesi anch’essi,
sono irreali. Che cos’ha di speciale il blu, l’azzurro, per essere usato in maniera così
dominante? È la maestosità del mistero, è una malinconica profondità: è il tipico colore del
cielo, e la sensazione che crea è di riposo. Il chiaro di luna, l’acqua. Il più antico dei colori
sintetici, venerato nel Medioevo come simbolo della purezza divina.
Dal figurativo all’astratto, le vivaci composizioni presenti in mostra colpiscono per il loro
gioco di colori e contrasti, lo sfruttamento di strategie decorative e l’economia dei mezzi. Di
piccole dimensioni e di medio formato, la scala dei lavori cresce insieme alle ambizioni di
un bambino che vuole fare l’astronauta. La mostra è stata animata da questa volontà di
conservazione del desiderio per non tradire il bambino che è vivo in ognuno di noi: ogni
lavoro, difatti, offre una considerazione di ritagli personali, famigliari, associativi.
Ogni bambino ha voluto almeno una volta fare l’astronauta nella sua vita.
C’è qualcosa, in questa volontà e nella parola desiderio, che si emancipa da una serie di
matrici che questa parola ha storicamente: in fondo, quando si usa questa parola
bisognerebbe reagire ad una tendenza che è stata quella di schiacciare il termine
desiderio sul termine dell’istintualità, del bisogno primario o anche della dimensione della
pulsione. Problematizzando questo schiacciamento e questa identificazione, il desiderio
non è istintuale, non è il desiderio primario, non è la pulsione, ma è qualcosa che
caratterizza in modo assolutamente specifico l’essere dell’uomo. Tuttavia, il desiderio
sarebbe non tanto l’elemento caotico, capriccioso, instabile che caratterizza l’esistenza,
ma sarebbe piuttosto l’elemento ordinatore dell’esistenza, una “vocazione” che orienta,
guida, struttura l’esistenza la cui matrice è indubbiamente infantile. Il desiderio non è il
turacciolo sulle onde, ma è ciò che imprime un orientamento all’esistenza umana, da cui
scaturisce la felicità se si rimane fedeli a questa vocazione, al costo di generare una vita
capace di dare frutti. Lì dove si è in grado di percepire ed ascoltare questa chiamata del
desiderio, non bisogna che sia né disciplinata né cavalcata, ma solamente assecondata.
In questo senso, il desiderio di Francesco Liggieri è l’alternativa etica al capriccio, è la
responsabilità di non sottrarsi a questa vocazione che sopravanza ma di affidarsi quasi
totalmente alla propria chiamata, che non è un gesto che si fa una volta per tutte, ma che
va rinnovato costantemente sotto il segno della fedeltà che è l’unico criterio di felicità
possibile su questa terra.
Al di là di ogni scelta formale, ciò che conta davvero è l’ambizione che ogni bambino si
prefigge di avere: il desiderio di liberarsi di ogni retaggio, di sfidarsi, di andare oltre e
fluttuare nell’assenza di gravità a cui la vita ci sottopone giorno dopo giorno.
Guardare gli occhi di un bambino che vuole fare l’astronauta, ci permette di dilatare
l’orizzonte del tempo - inteso come tempo spazializzato -, di cedere alla sua vocazione,
vera o presunta che sia: rinunciando ad ascoltare la chiamata del proprio desiderio,
tradendola e sottraendosi, in qualche modo si fa ammalare la propria vita.

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